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Intelligenza artificiale e il diritto all’invenzione

di Carlo M. Faggioni
Mandatario in Proprietà Industriale presso Fumero S.r.l. Milano

Intelligenza artificiale e il diritto all’invenzione

Due recenti casi decisi dall’Ufficio Brevetti Europeo ed Americano, hanno riacceso il dibattito sul ruolo dell’intelligenza artificiale nel processo inventivo.

I casi riguardano due domande di brevetto (si vedano ad esempio quelle Europee EP18275163 ed EP18275174) in cui l’inventore è stato designato come DABUS (Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience). Nella designazione di inventore, lo stesso richiedente ha fornito una descrizione particolareggiata e molto interessante della natura dell’inventore, spiegando che comunque non può essere soggetto di diritti morali o patrimoniali e che tutti i diritti al brevetto appartengono quindi al proprietario della macchina (il sig. Stephen Thaler indicato come titolare della domanda di brevetto). DABUS sarebbe un a macchina costituita da una prima rete neurale in grado di individuare, con un auto-addestramento, una serie di potenziali soluzioni innovative e da una seconda rete neurale ‘critica’ in grado di stabilire quali delle soluzioni individuate sarebbe anche dotata di originalità. Per tale motivo DABUS avrebbe non solo la capacità di selezione, ma anche una capacità critica di riconoscere il contributo inventivo tra le soluzioni: per tale ragione sarebbe l’unico inventore riconoscibile nel processo.

In entrambi i casi, le domande sono state rigettate perché la designazione di inventore è impropria e incompatibile con la norma. Non si pone infatti un problema di brevettabilità del settore dell’intelligenza artificiale – numerosi sono infatti i brevetti concessi su processi e infrastrutture che permettono di ottenere soluzioni tipiche dell’intelligenza artificiale – ma un problema più serio di riconoscere all’intelligenza artificiale la possibilità di ‘fare attività inventiva’ tutelabile.

Anche se le due normative apparentemente non pongono esplicite riserve alle ‘persone fisiche’ nella designazione dell’inventore, le decisioni – ben argomentate – affermano che si desume dal contesto generale della norma, che il titolo di inventore ed i relativi diritti spettino solo alle persone fisiche.

Non è escluso che queste domande siano state depositate in queste condizioni come provocazione, per aprire la strada a nuove interpretazioni e a nuove formule di tutela. Per il momento, però, la strada è stata sbarrata. Ma la vicenda non è finita, perché il 13 marzo è stato depositato un ricorso contro la decisione dell’Ufficio Europeo.

Si aprono comunque interessanti questioni sui principi fondanti del sistema brevettuale. Si può parlare ancora di creazione intellettuale, e relativo diritto morale e patrimoniale, per una soluzione proposta da una macchina o un processo informatico? Il riconoscimento di un diritto di esclusiva (quale un brevetto) per una creazione di una macchina, è ancora funzionale e incentivante per lo sviluppo tecnologico ed il benessere della collettività? A chi appartengono i diritti patrimoniali derivanti da una creazione di una macchina? Si possono creare condizioni incompatibili con le norme antitrust?

Analoghi quesiti si pongono anche per altre forme di espressione che sinora abbiamo considerato “patrimonio intellettuale”, quali le forme d’arte. Per esempio, ha senso riconoscere una tutela ad una musica composta o ad un dipinto elaborato da una forma di intelligenza artificiale?
Anche AIPPI, come altre associazioni di professionisti della proprietà industriale, si sta occupando di queste recenti tematiche con specifiche ‘study question’ (Copyright in artificially generated works e Inventorship of inventions made using Artificial Intelligence).

La comunità scientifica, economica e accademica proseguiranno questo dibattito ancora per molto tempo, perché le implicazioni di una scelta o dell’altra non sono affatto banali.